Nella pratica quotidiana spesso le transazioni con il lavoratore risultano vanificate per nullità che il lavoratore, successivamente, fa rilevare in giudizio. Molto spinosa è la questione delle transazioni sui diritti previdenziali e la contribuzione obbligatoria.
L’art. 2113 c.c. è una norma di enorme importanza per le sue conseguenze pratiche. In effetti, sono frequentissimi gli accordi tra datore e lavoratore che, però, non tengono in considerazione questo precetto difensivo per il prestatore.
Stabilisce il testo dell’art. 2113:
“Le rinunzie e transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili delle legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide.”
La legge prevede uno speciale regime di annullabilità degli atti di disposizione del lavoratore che può, con qualsiasi scritto anche extragiudiziale, invalidare l’accordo entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro ovvero dalla data di sottoscrizione.
L’accordo diviene irretrattabile solo se stipulato nelle forme di cui al comma 4 dello stesso articolo. Nella pratica, il crisma di validità di tali accordi si ottiene con la sottoscrizione in camera di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro. E’ anche molto diffusa la forma dell’assistenza sindacale al lavoratore che, secondo la giurisprudenza, è pure sufficiente ad impedire l’impugnazione ma solo se il lavoratore sia attivamente assistito, nella conduzione delle trattative con la controparte, da un rappresentante sindacale di fiducia e che tale assistenza risulti comprovata dal verbale di conciliazione contestualmente sottoscritto sia dalle parti che dal rappresentante sindacale stesso (Cass. 11/12/99, n. 13910, pres. Trezza, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 508, con nota di Leotta, Ruolo e funzioni dei rappresentanti sindacali in sede di conciliazione sindacale).
Importante è anche chiarire, vista la confusione che ciò induce nell’utilizzo pratico, che l’annullabilità di cui sopra, se non fatta valere entro i termini rende l’atto dispositivo valido, ma che sussiste comunque il diritto del lavoratore ad agire con l’azione di nullità di quelle clausole che dispongano deroghe a diritti assolutamente indisponibili. Ad esempio, anche se l’accordo fosse stipulato presso la DTL e, quindi, non fosse annullabile, il lavoratore potrebbe comunque agire per far dichiarare nulla la disposizione circa un diritto che per legge non era negoziabile.
In questo senso la questione si complica poiché, quando si predispone una transazione con il lavoratore le clausole vanno verificate per cercare di ridurre al minimo il rischio della nullità.
Per la comprensione è, però, utile fare un esempio. Se un lavoratore rinunciasse al riposo settimanale o alle ferie annuali, tale accordo sarebbe nullo ex art 1418 c.c. per contrarietà a norme imperative. Se, però, lo stesso prestatore rinunciasse all’indennità per le ferie non godute all’estinzione del rapporto, tale accordo sarebbe valido, se stipulato con l’assistenza di un sindacalista di fiducia oppure in sede conciliativa sindacale o presso la DTL. Questo perché il diritto al riposo è un diritto c.d. “primario”, mentre quello all’indennità, come diritto patrimoniale, è rinunciabile. La rinuncia del lavoratore, però, deve essere accertata come genuina sua volontà, ecco perché l’ordinamento dispone che essa sia effettuate nelle forme previste dall’art. 2113 c.c. e non in quelle del diritto comune. Non è sufficiente, quindi, un semplice contratto.
Per fare alcuni esempi, sono state ritenute nulle le rinunce indeterminate, cioè non collegata a specifici e determinati diritti che ne costituissero l’oggetto. Anche la clausola di ritenersi soddisfatti, o di non avere null’altro a pretendere è generalmente ritenuta come non apposta, o di stile, se non collegata ad ipotesi obiettive ed enucleate. E’ del pari nulla la rinuncia a diritti futuri o per danni non ancora divenuti attuali. E’ certamente nullo il patto con cui il lavoratore decida di rinunciare alle contribuzioni previdenziali, che rientrano nel novero dei diritti indisponibili secondo la cassazione (Cass. 8/6/01, n. 7800, pres. Lupi, est. Filadoro, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 1610).
Relativamente al rapporto previdenziale, predisporre una transazione valida è operazione particolarmente complicata poiché si deve comunque distinguere tra obblighi contributivi prescritti ed obblighi che non lo sono. Nel primo caso si tratterebbe di un’ipotesi di risarcimento del danno, ma l’evento dannoso non si produce sino all’età pensionabile. Secondo la migliore dottrina, questa aspettativa può essere transatta, ma alcuni dubitano. Nella seconda ipotesi il lavoratore non può certamente transigere se non indirettamente in sede di procedura conciliazione monocratica alla DTL.