Possibile natura confessoria della denuncia di infortunio

 

Una dichiarazione, anche breve e succinta, resa in sede di denuncia di infortunio sul lavoro, può spiegare natura propriamente confessoria e fondare la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro.

Si segnala una recente pronuncia della Suprema Corte destinata a rivestire un ruolo importante in materia di infortuni sul lavoro.
Difatti, con la sentenza n. 8611 del 6 febbraio 2013, la Cassazione stabilisce che le dichiarazioni rese nel verbale di denuncia di un infortunio dal datore di lavoro possono avere natura confessoria e, di conseguenza, possono valere per affermarne la responsabilità e fondare il diritto al risarcimento del danno per il lavoratore infortunato.

Il caso deciso riguarda un lavoratore caduto da uno scaffale posto a oltre 3 metri di altezza. Secondo la compagnia assicuratrice dell’imprenditore, il lavoratore si era infortunato per colpa propria e, in ogni caso, non aveva fornito prova adeguata circa la colpa del datore.
In tema di infortuni sul lavoro, considerata la natura contrattuale della responsabilità datoriale in materia di sicurezza, l’onere della prova grava sul lavoratore. Ne consegue, quindi, che l’infortunio, la sua entità e il nesso di causalità con l’attività lavorativa devono essere provati dal dipendente.
E proprio in merito alla prova interviene l’arresto giurisprudenziale in commento, che risulta massimamente importante proprio per la sua portata innovativa. Difatti, la Cassazione, nella sentenza in esame, ha stabilito che, secondo i principi generali, la prova può essere ricavata anche da una confessione del datore di lavoro che può essere ricavata anche dalla denuncia di infortunio presentata all’Inail al momento del sinistro.
Nel caso in esame, il datore di lavoro aveva scritto in tale denuncia che il dipendente si era infortunato «cadendo da uno scaffale». La Corte d’appello aveva negato rilevanza confessoria a questa affermazione, motivando che essa era priva dell’elemento soggettivo tipico della confessione, cioè la consapevolezza di affermare la verità di fatti a sé sfavorevoli e che, comunque, la denuncia recava affermazioni datoriali troppo vaghe e generiche per fondare un giudizio di responsabilità.

La Corte di Cassaizone, al contrario, ha annullato la sentenza della Corte d’Appello, rilevando che, ai fini della valenza confessoria di una dichiarazione, è sufficiente che il dichiarante abbia piena conoscenza e consapevolezza dei contenuti di quello che afferma. Non è, invece, necessario che siano conosciuti e voluti anche i potenziali effetti sfavorevoli di quello che si dichiara. La Corte argomenta: “l’elemento soggettivo della confessione (animus confitendi) si configura come mera volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto dichiarato, obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte, senza che sia necessaria l’ulteriore consapevolezza di tale obiettiva incidenza e delle conseguenze giuridiche che ne possono derivare“.

Inoltre, la Corte precisa che quand’anche se la dichiarazione sia breve e succinta, ciò non elimina il carattere confessorio della dichiarazione: una prova può avere una minore o maggiore estensione, senza che l’eccessiva brevità possa far venir meno la sua rilevanza.

La sentenza, si sottolinea, avrà sicura eco applicativa nei futuri giudizi sulle responsabilità dell’imprenditore per l’infortunio del dipendente.
Quindi, consigliamo di fare particolare attenzione nella redazione della denuncia di infortunio e nelle dichiarazioni rese a verbale. In questi casi è sempre opportuno farsi assistere da professionisti qualificati.